Credo che oggi si possa rispondere con certezza: era sbagliato intervenire in Iraq, guerra tra l'altro mai ufficialmente dichiarata, in violazione della convenzione di Ginevra, non autorizzata da alcun organismo sovrannazionale ma anzi, apertamente osteggiata dall'ONU nonchè da una somma autorità morale quale fu Papa Giovanni Paolo II.
La scusa ufficiale, quella delle armi di distruzione di massa, era basata su rapporti dell'intelligence falsi, costruiti ad hoc per sostenere le ragioni del conflitto.
Le armi di distruzione di massa non sono mai state trovate perchè non esistevano, come del resto sostenuto prima dell'inizio del conflitto dagli ispettori dell'ONU guidati da Hans Blix e da Mohammad El Baradei (poi insignito del Premio Nobel per la Pace) che avevano cercato in lungo e in largo il luogo in cui queste armi avrebbero potuto essere prodotte (laboratori chimici) o nascoste. Purtroppo i governi statuntense e britannico, spalleggiati da Spagna, Italia, Giappone, Australia, Polonia e altri Paesi, decisero di non dare credito alle ispezioni ONU, che ebbero il merito di costringere Saddam alla distruzione di un notevole quantitativo di missili che violavano gli accordi internazionali ma non erano comunque armi chimiche: un obiettivo notevole che Blix e El Baradei avevano raggiunto con la diplomazia e senza spargimenti di sangue.
Nessun dubbio sul fatto che il regime di Saddam Hussein fosse sanguinario e tirannico, ma mi sembra evidente che per aiutare un popolo oppresso da una tirannia il sistema più sbagliato sia proprio quello di farlo a suon di bombe che, come inevitabile, hanno fatto un numero enorme di vittime innocenti tra la popolazione civile, molti dei quali bambini, donne e anziani. Si stima sia deceduto a causa della guerra circa l'1% della popolazione irachena, cioè un'intensità di vittime ben superiore a quella provocata in Europa dalla II guerra mondiale.
Sono inoltre andate distrutte tutte le infrastrutture che erano prima perfettamente funzionanti senza che la cosiddetta Coalizione dei Volenterosi che ha fiancheggiato l'occupazione angloamericana avesse poi la forza necessaria per sostenere la ricostruzione: questo perchè nel difficile scenario di guerra civile che si è venuto a creare (la società irachena è molto complessa e vi sono interessi contrapposti e difficili da ricomporre tra sciiti, sunniti, curdi e cristiani) le forze in campo, anche in teoria a sostegno della popolazione locale come il contingente italiano dell'operazione Antica Babilonia, riescono a malapena a difendere la propria incolumità (la proporzione tra risorse impiegate per spese militari e operazioni a sostegno della popolazione locale è stimata in cento a uno!).
Meglio sarebbe stato agire diplomaticamente e cercare di rafforzare con ogni mezzo le forze politiche ed intellettuali di opposizione a Saddam Hussein già presenti nella società irachena. Purtroppo è prevalsa la visione ideologica e ben poco pragmatica (stranamente per la cultura americana, di solito estranea agli eccessi ideologici) dei neoconservatori della amministrazione Bush (Cheney, Rumsfeld, Rice, Pearle, Wolfowitz, Ledeen...).
Ora un numero enorme di vite umane è stato sacrificato tra civili e militari. Il risultato è una nazione che ha sconfitto il suo tiranno e ha avuto libere elezioni: due ottime cose, ma solo in apparenza perchè il prezzo che è stato pagato da tutti è eccessivo, spropositato, e perchè l'Iraq è sprofondato nel caos più totale, la sicurezza non esiste nè per i cittadini nè per i militari. Non solo l'Iraq che non conosceva il terrorismo ne è diventato un focolaio internazionale, ma una guerra civile è in pieno corso con la maggioranza sciita (integralista e filo-iraniana) ansiosa di vendetta sulla minoranza sunnita che ha governato il Paese durante il trentennio precedente. Le libere elezioni non contano nulla se chi vince intende instaurare una nuova dittatura, solo di segno diverso: la democrazia è fatta di condivisione di regole e rispetto reciproco tra maggioranza e opposizione, ma nulla di tutto ciò esiste ora in Iraq. Non funzionano più i servizi essenziali, l'energia elettrica c'è ma a singhiozzo, la macchina burocratica statale, la pubblica istruzione, la polizia e l'esercito sono allo sfascio. Uomini in divisa dello Stato si combattono tra loro per questa o quella fazione nell'impossibilità per gli eserciti occidentali di addestrare un nuovo esercito e una nuova polizia irachena in grado di garantire autonomamente la sicurezza del Paese.
Sorvolo sulle vergogne delle torture e degli abusi nel carcere di Abu Graib e in altri penitenziari, sulle insensate stragi di civili non solo nelle città sante di Karbalah e Najaf, sull'uso di armi vietate dalla convenzione di Ginevra come il fosforo bianco, come documentato da Sigfrido Ranucci in un servizio-scoop di RaiNews 24 ripreso e avvalorato da autorevolissime testate giornalistiche internazionali.
Intanto il costo della guerra è tremendamente alto e sta diventando insostenibile per gli stessi USA, dato che la missione irachena necessiterebbe di ancora più uomini ma sta drenando una tale massa di risorse da non permettere di affrontare altri gravi problemi sia nazionali che internazionali. Logica conseguenza è che nel Governo americano si stia iniziando a pensare ad una exit-strategy (magari presidiando militarmente soltanto il petrolio, alla faccia di chi predicava l'esportazione della democrazia), e si può solo sperare che l'esito non sia quello che abbiamo già visto alcuni anni fa in Somalia, dove di fronte all'impossibilità di raggiungere un obiettivo si è lasciato il Paese nelle mani dei cosiddetti "Signori delle guerra", nell'idifferenza dei media internazionali.
Come definire tutto questo se non un disastro, un miserabile fallimento?